Fin da bambino, la scultura ha acceso in me una scintilla di meraviglia.
Ricordo vividamente il primo incontro con un busto di Cristo in legno, a sette anni: lo osservai con ammirazione, desiderando un giorno creare oggetti così carichi di bellezza e significato. Questo sogno si alimentò attraverso i fumetti di Tex, dove i totem sacri delle tribù indigene mi affascinavano per la loro maestosità simbolica, e attraverso le materie artistiche studiate a scuola, che coltivarono la mia sensibilità creativa.

Dopo un percorso lavorativo variegato, l’incontro con lo scultore ungherese Balazs segnò una svolta decisiva. Durante una fiera, rimasi ipnotizzato dalle sue opere in pietra lavagna: una ventina di sculture nere che sembravano emanare un’energia mistica. Balazs, riconoscendo il mio interesse genuino, mi guidò con generosità in un apprendistato informale, regalandomi blocchi di pietra e sfidandomi a plasmarli con pazienza e riflessione. I suoi insegnamenti, più filosofici che tecnici, mi introdussero a un dialogo intimo con la materia, rispettandone la “fragile durezza” e valorizzando la mia intuizione artistica.

Fu grazie a questa guida che realizzai le mie prime sculture consapevoli, tra cui un Cristo stilizzato sospeso a un albero, opera che consolidò la mia determinazione. L’amicizia con Balazs, ancora oggi viva, rappresenta un pilastro del mio percorso: un maestro che ha saputo indicare la via senza influenzare il mio stile, privilegiando l’autenticità.

Oggi, lavorare il marmo e la pietra è per me un atto meditativo, che unisce l’eredità delle suggestioni infantili alla maturità di un linguaggio artistico personale. Ogni opera è un tributo a quel bimbo che, davanti a un busto di legno, sognava di dare forma all’invisibile.